Pandemia, reazione fight-or-flight e comportamenti alimentari

Di fronte a una situazione stressante di magnitudo mondiale come quella che stiamo vivendo da alcune settimane, nessuno dei nostri sistemi biologici è al riparo da rilevanti impatti e conseguenti cambiamenti di assetto. Hai voglia a dire leggiti un libro, approfitta del tempo, fai l’amore, cucina e occupati della tua casa. Per la stragrande maggioranza delle persone, per fortuna non per tutti, lo sconcerto, l’ansia, la paura, il distanziamento sociale, gli impatti economici a breve termine e quelli temuti, a giusta ragione, in un futuro che si rivela quanto mai incerto e tutt’altro che roseo, stanno determinando un ingravescente carico di stress individuale e collettivo che spinge i sistemi base di regolazione psico-biologica a posizionarsi in assetto letteralmente “di guerra”.  E in guerra la priorità biologica è la sopravvivenza del sé quindi la lettura, la cucina, l’amore o le pulizie possono attendere. Ed è per questo che per molti, le giornate improvvisamente svuotate dalle abituali routines, si trascinano in un compulsivo reagire ad una svariata gamma di scomposti stimoli, dal computer al cibo. 

Fight-or-flight

La nostra naturale reazione di mammiferi a ciò che è percepito come pericolo, sia esso reale o immaginato, fisico o psichico, è sintetizzabile nel noto meccanismo del fight or flight, combatti o fuggi. Si tratta di una risposta biologica di sopravvivenza che determina dei cambiamenti sia a livello ormonale che fisiologico in genere. Pertanto ad ogni lettura o ascolto di quanto stia accadendo a livello locale, nazionale, europeo e mondiale, in questi giorni nell’organismo di moltissime persone si determina una iperproduzione dell’ormone dello stress ovvero del cortisolo. E considerato  che è da settimane ormai che le ghiandole surrenali di molti pompano cortisolo nel sangue senza soluzione di continuità, possiamo immaginare quanti danni psicofisici possiamo aspettarci in maniera più o meno evidente di qui a breve. Perché cortisolo cronicamente alto significa, senza farla tanto lunga, infiammazione, indebolimento del sistema immunitario, dell’apparato muscolare, resistenza insulinica e ingrassamento assicurati.

Questa situazione infatti va assumendo, almeno a livello generale pur con le dovute differenze di risposta da parte di ogni singolo individuo, i connotati di una vera e propria pentola a pressione. Perché di fronte alla percezione di questo pericolo non possiamo né scappare né attaccare. Dove vai infatti e cosa fai di fronte al vissuto di un nemico invisibile e onnipresente? Come pensi che risponda il tuo organismo animale di fronte alla vista terribile e dolorosissima dei carri militari che trasportano le salme per le quali non c’è più posto? Non solo quindi non c’è luogo dove fuggire, e il blocco dei voli e la chiusura delle frontiere non fanno altro che acuire questa terribile sensazione di impossibilità di fuga in un altrove sicuro, ma non c’è neanche niente di veramente rappresentabile, se non qualche disegnino del virus, da attaccare fisicamente. In qualità di mammiferi da sempre sottoposti ai pericoli dell’ambiente, non ci resta quindi che la terza via. Che solitamente in natura non è una scelta consapevole ma una reazione inconscia del cervello rettile, mentre ora diventa una risposta ibrida, mezza inconscia e messa conscia in quanto necessaria e forzata a causa della battente richiesta di restare a casa, non uscire se non per ragioni validissime ed evitare perfino di andare fuori a fare un po’ di jogging. Siamo pertanto al freezing collettivo. Da una parte indotto e dall’altra psichicamente quasi inevitabile di fronte all’impossibilità della fuga o dell’attacco.

Cos’è la reazione “freeze”?

Esattamente come il “combatti o fuggi”, il freezing, letteralmente “congelamento” è nel mammifero una risposta automatica e involontaria agita di fronte ad una minaccia rispetto alla quale le altre due vie sono precluse oppure il cervello rettile valuta che la cosa migliore da fare in quel momento è restare fermo immobile. Per gli animali corrisponde al fingersi morto. Il corpo si irrigidisce. Il battito cardiaco rallenta, il respiro viene trattenuto e gli atti respiratori si fanno brevi e sommessi, ci si sente come anestetizzati, distanti da tutto, come se quello che sta succedendo non stesse succedendo a noi ma all’attore di un film che stiamo guardando, si percepisce freddo e ci si sente in trappola.

Mai sperimentato niente di tutto ciò? 

Comportamenti alimentari sotto stress

E veniamo al cibo. Ben nota, ed esperienza di tutti, è la ripercussione dello stress a livello del comportamento alimentare. E in questa atipica situazione di stress collettivo, che al momento tende a montare ogni giorno di più, c’è chi mangia in continuazione, più o meno consapevole del fatto che il mangiare o lo sboconcellare ingovernato altro non siano se non un modo per mascherare la percezione di emozioni negative, dal disorientamento alla noia, dalla rabbia alla paura, dal bisogno di distrarsi alla voglia di sdrammatizzare per difendersi, e chi invece, magari per le stesse ragioni emozionali, sente lo stomaco chiuso e smette completamente o quasi di nutrirsi con cura. Tutto è presente in questo momento nell’ampia gamma degli alterati comportamenti alimentari. E veramente pochi restano indenni da certi meccanismi di sregolazione. 

Secondo alcuni osservatori, la maggior parte delle persone, come peraltro è prevedibile, tende a mangiare di più, in maniera continuativa ed esercitando una minore selezione rispetto ai cibi altamente palatabili. E non sorprende considerato che nei supermercati , sia in Italia che all’estero, gli scaffali delle cioccolatose creme spalmabili dalle note marche sono stati letteralmente svaligiati. A parziale consolazione di chi si ritrovi in questa situazione di ingovernabilità del proprio comportamento alimentare, va ricordato che alcuni studi dimostrano che gli eventi stressanti attivano nel cervello uno specifico sottogruppo di neuroni che spingono a cercare cibi ad alto contenuto di zucchero e grassi con una proporzione pari al doppio rispetto ad altri cibi. Quindi ancora una volta lo stress ci telecomanda, ma il risultato non cambia.

E insomma cosa fare?

I danni dietro l’angolo sono fin troppo evidenti. E il problema ancora una volta non è tanto quella manciata di chili che ci si ritrova addosso dopo alcune settimane di clausura, qualunque sia il meccanismo adottato dal nostro cervello rettile, quanto il fatto che un certo mangiare non spegne, se non per qualche ora e spesso meno, le risposte allo stress e quindi tale disastsrosa combinazione non potrà far altro che portare ad una condizione di maggiore infiammazione sistemica, vulnerabilità immunitaria, difficoltà di concentrazione mentale, stanchezza e molto altro.

Quindi, se in questa situazione di blocco forzato, timore e preoccupazione ci ritroviamo a mangiare disordinatamente, adesso e nei prossimi mesi, cerchiamo di:

  • Domandarci ogni giorno quali sono le sensazioni e le emozioni che stiamo provando: cosa si fa sentire di più in questo momento a livello emozionale? Timore? Rabbia? Senso di impotenza? Preoccupazione per il futuro? Soffermiamoci un attimo e diamo un nome a queste emozioni. Soffermiamoci a sentirle circolare nel sangue e nella mente. Sì sono molto sgradevoli ma se le sopprimiamo in qualsiasi modo queste spingeranno ancora di più.
  • Ogni volta che sentiamo l’esigenza di smangiucchiare qualcosa o di afferrare un biscotto o una cucchiaiata di Nutella o farci fuori una confezione intera di fette biscottate, nei migliori dei casi, soffermiamoci solo un istante e chiediamoci in che modo quella pulsione capricciosa sia collegata con le emozioni che stiamo provando…
  • Osservare quali sono i “trigger” e cioè quelle situazioni-grilletto che fanno scattare la reazione nervosa e incontrollata che si scarica sul cibo: ad esempio, sto lavorando da casa al computer, la connessione regge male, mi si sta moltiplicando il lavoro e nel frattempo il bambino urla e litiga con il fratellino e non riesco a concentrarmi…Mi alzo, faccio una pausa, apro la dispensa, metto in bocca qualcosa.
  • Decidere la mattina come organizzare la giornata alimentare. Forse fino a quando uscivamo da casa e andavamo al lavoro questa non era la nostra priorità ma adesso diventa importante. Cosa mi preparo oggi? A che ora comincio a preparare il pasto con un po’ calma? Ho tutto quello che mi serve?
  • Preparare porzioni più abbondanti e congelarle subito in modo da non dover passare tutta la quarantena in cucina che poi si sclera. Prepariamoci qualcosa di buono, appetitoso, sano e abbondante e conserviamone una parte in modo da averlo già disponibile per un altro giorno. Fino a ieri avevamo meno possibilità di programmare, oggi invece possiamo.
  • Fare la spesa giusta al supermercato. Avere tre pacchetti di patatine in casa immaginando di trascorrere il pomeriggio a guardare i film preferiti è una tentazione a cui pochi, soprattutto in questo periodo, potranno resistere. Sembra banale ma si parte da qui: non portiamo in casa pseudo-cibi di cui potremmo pentirci.
  • Restare in contatto con alcune persone significative da poter raggiungere telefonicamente quando le emozioni negative montano su o quando la noia o la negazione prendono il sopravvento. Una telefonata al momento giusto può salvarci dal mandare a monte le nostre necessarie e buone intenzioni. Contatto invece di cibo fuori pasto e di cattiva qualità. Pensiamoci.
  • Restare in contatto anche con il vostro nutrizionista o con il vostro health coach o il vostro psicologo. In questo momento c’è bisogno di fare cordata e di sapere che c’è qualcuno che aiuta a non mollare fornendo informazioni importanti, alternative intelligenti e soluzioni pratiche. Sì, come di fronte ad una scalata in montagna, c’è bisogno di fare affidamento e di agganciarsi a chi non molla. Perché chi non molla ha fatto tanta tanta pratica su di sé e attraverso questa esperienza può fornire supporto.

 

Daniella Iurilli
www.danielaiurilli.it