Tempi di accesso alle cure ancora troppo lunghi per chi soffre di una dipendenza patologica

Tempi di accesso alle cure ancora troppo lunghi per chi soffre di una dipendenza patologica. L’Istituto Europeo Dipendenze e il suo contributo alla risoluzione del problema.

Secondo i dati dell’Istituto Europeo Dipendenze (IEUD) relativi agli accessi registrati nel primo trimestre di quest’anno presso gli ambulatori di Milano, oltre i 2/3 dei pazienti soffriva di una condizione di dipendenza (prevalentemente da cocaina, alcol e farmaci) da oltre dieci anni e circa 1/4 addirittura da oltre 20 anni. Il dato è ancora più sorprendente se si considera che oltre la metà di questi pazienti ha dichiarato di cercare per la prima volta una cura al proprio problema e solo il 5% aveva un precedente di cura presso un servizio pubblico, peraltro non deciso spontaneamente ma prescritto dalla prefettura o dalla commissione patenti di guida.

Questi dati sono coerenti con quanto è noto da tempo: in Italia, seppur con una certa differenza in funzione della sostanza di abuso utilizzata, è in trattamento una sparuta minoranza di chi ha sviluppato una condizione di dipendenza ed il periodo di latenza per l’accesso alle cure è estremamente lungo. Si pensi ad esempio che, per una sostanza lecita come l’alcol, i dati recentemente pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità evidenziano che il 90% dei consumatori alcoldipendenti più gravi, con danno d’organo e quindi “in need for treatment”, non riceve alcuna forma d’intervento sanitario (“Epidemiologia e monitoraggio alcol-correlato in Italia e nelle Regioni”; https://www.iss.it/it/web/guest/-/rapporti_istisan_22_1).

“Diversi fattori incidono su questo fenomeno, che è estremamente negativo per la prognosi: infatti, prima si avvia un trattamento e migliore e più rapido è l’esito della cura – dice Emanuele Bignamini, Direttore del Comitato Scientifico di IEUD – Fattori come il giudizio sociale e la paura di essere stigmatizzati, la vergogna e la difficoltà a riconoscere anche con se stessi di avere un problema, la speranza infondata di ‘farcela da soli’, la minimizzazione o la normalizzazione del problema, le difficoltà di accesso alle cure, lo scoraggiamento e la sfiducia nelle cure possibili incidono pesantemente nel ritardare la richiesta di aiuto e di intervento”.

Anche quando il problema comincia a diventare riconoscibile per le persone che conoscono l’interessato (familiari, amici, colleghi), questi temporeggia, nega, minimizza e, di fatto, prosegue nel comportamento problematico. D’altro canto, per chi soffre di una dipendenza patologica e non ha ancora sviluppato la consapevolezza del problema, la prospettiva di cessare l’uso della sostanza può sembrare inutile, insensata, inaccettabile. Queste persone possono essere molto convincenti e molto convinte nel negare la realtà; ignorando, minimizzando o distorcendo i fatti tendono a sottovalutare la quantità di droga consumata, la durata del problema o l’impatto che la dipendenza ha avuto sulle loro vite e su quelle dei propri cari. A fronte della profonda ambivalenza della persona che non riesce a decidere autonomamente, spesso gli eventi “motivanti” esterni sono situazioni eclatanti e critiche: una overdose, una malattia importante, grossi problemi economici, compromissione del ruolo lavorativo, crisi dei rapporti affettivi, fermi delle forze dell’ordine e blocco di licenze (patente di guida ecc.). Arrivare a “toccare il fondo” significa essere sull’orlo di una crisi personale che richiede un aiuto immediato e concreto; d’altro canto, temporeggiare può essere molto pericoloso perché se la dipendenza non viene curata per troppo tempo, le conseguenze dannose, fisiche, psichiche, relazionali e sociali possono diventare talmente gravi da essere, a volte, irreversibili.

Non è facile convincere una persona a cercare aiuto ma gli interventi eseguiti con competenza, sensibilità e senza alcuna costrizione da professionisti qualificati, possono rappresentare uno strumento efficace per promuovere una motivazione più personale e solida nel tempo. Spesso le famiglie, in particolare se è la prima volta che devono confrontarsi con una condizione di dipendenza, hanno difficoltà a considerare un intervento specialistico per mancanza di informazioni o per paura di alimentare un conflitto in un contesto di relazioni già tese o fortemente compromesse. Tuttavia, l’esperienza dell’Istituto Europeo Dipendenze (IEUD), coerentemente con le indicazioni della letteratura scientifica e i processi di cura più qualificati, dimostra che le famiglie che assumono un atteggiamento attivo nel promuovere il contatto con il team curante sono una risorsa da valorizzare molto più di quel che viene abitualmente fatto.

L’Istituto Europeo Dipendenze (IEUD) è un Istituto all’avanguardia per il trattamento delle dipendenze in grado di offrire una attenta valutazione della problematicità dell’uso di droghe, orientando il paziente e i suoi familiari verso gli interventi più idonei e proporzionati alla complessità del problema reale. Fondato a Milano nel 2016 ha in questa città la sua sede, in via Pierlombardo 22 info numero verde 800 810 100 (ora anche a Torino, corso Francia 19bis/F) ma si caratterizza per innovativi percorsi di cura “da casa” usando le nuove tecnologie. Priorità di chi è affetto da una dipendenza è proteggere con particolare attenzione la propria vita privata e la propria identità durante il percorso terapeutico, per questo IEUD ha attivato numerosi protocolli di tutela della privacy.

https://istitutoeuropeodipendenze.it/