Antahkarana, un simbolo del Reiki (ma non solo)

Nell’immagine osserviamo un simbolo millenario, l’Antahkarana. E’ usato nella pratica Reiki e affonda le sue radici nella cultura dell’India, del Tibet e della Cina.



Significa "coscienza interiore" o "mente manifesta". Rappresenta una facoltà mentale, "sukshma-sharira", che include le funzioni della mente, sia quelle più elevate, sia quelle intermedie, che scendono per reincarnarsi. Antahkarana è quindi considerata un "ponte" che agevola il passaggio verso stati mentali più evoluti. Per questo si ritiene utile nella meditazione.



Su questo simbolo si è concentrata l’attenzione di Alice Bailey, esoterista e teosofa inglese. La studiosa ha intuito il potere di "connessione" dell’Antahkarana, un concetto che è stato poi inglobato nella tradizione Reiki, come strumento che agevola la guarigione. Nell’immagine è racchiuso un principio che consente alle intelligenze superiori di ben indirizzare l’energia vitale. 



Come si usa? Sono proposte diverse modalità d’impiego. C’è chi dice che sia sufficiente tenere vicino a noi il simbolo, chi lo usa per meditare, altri per entrare in uno stato di coscienza che predispone al Reiki, oppure per l’attivazione dei cristalli. C’è anche chi lo mette sotto il letto o sotto il lettino dei massaggi.  



Lo spiega Diane Stein, una master Reiki americana.



«Antakharana, posto sotto il lettino da massaggio durante una seduta curativa, concentra e amplifica il Reiki o altre energie curative e, a quanto pare, connette anche il cervello con il Chakra della Corona, influenzando in tal modo positivamente tutti i centri energetici e l’aura del soggetto. Durante la meditazione – continua la Stein – il simbolo pare spostarsi e mutare, dando origine ad altre figure. Può essere impiegato per liberare le energie negative presenti in cose o persone e per pulire i cristalli.

La sagoma emana sensazioni di positività e di sacralità: non si tratta di uno dei simboi Reiki andati perduti, ma è comunque positiva per qualsiasi campo».



Una curiosità. In effetti, come dice la Stein, l’osservazione protratta del simbolo a volte crea un effetto ottico. Si deve al fatto che il nostro cervello può leggere il disegno in due modi diversi: come se fosse bidimensionale ma anche tridimensionale perché i tre 7 che compongono il simbolo sembrano definire la forma di un cubo. Anche in questo caso c’è una connessione, un passaggio da diversi modi di vedere la realtà.