Oltre il carnismo. La consapevolezza che apre gli occhi



Melanie Joy è una psicologa che gira il mondo con l’obiettivo di indurre a riflettere sulla violenza alla quale vengono sottoposte molte specie animali per soddisfare il nostro appetito. L’abbiamo incontrata al Sana di Bologna e ci ha colpito in profondità, poiché ascoltarla e leggere i suoi libri equivale a intraprendere un viaggio di consapevolezza che non può lasciare indifferenti. Il modo delicato ma incisivo con cui affronta il tema del consumo di carne e la presentazione di dati inoppugnabili pone domande che richiedono risposte, anche se in realtà giustificazioni al consumo di alimenti di derivazione animale non ce ne sono, a eccezione del piacere edonistico di mangiare cibi senza chiedersi troppo il perché. Senza quindi salire sul piedistallo e impartire lezioni di comportamento – ognuno sia libero di decidere che cosa mettere nel piatto – ci limitiamo a evidenziare le proposte di Melanie.
Tutto merito di un hamburger
Oggi punta di diamante del movimento vegano mondiale, Melanie Joy non “nasce” vegana: fino all’età di vent’anni si è cibata, come ogni americano medio, di quantità massicce di carne (più di 100 kg l’anno). Poi la svolta: “A seguito di un ricovero ospedaliero causato dal consumo di un hamburger contaminato”, ci ha raccontato Melanie, “mi sono chiesta quale fosse il reale motivo del mio cibarmi di animali. La risposta è arrivata velocemente, disarmante ma al tempo stesso ineccepibile: mangiare carne non è una necessità, quindi è una scelta. Questa consapevolezza mi ha illuminato e fatto aprire gli occhi su una realtà sconvolgente: lo sterminio a cui vengono sottoposti ogni anno miliardi di animali”.
I numeri impressionanti di un’ecatombe immorale
Eh sì, avete letto bene: miliardi. Per l’esattezza 60, considerando soltanto gli animali terrestri. Esseri viventi di cui non c’è traccia visibile, che arrivano nei nostri piatti senza che se ne conosca – o se ne voglia conoscere – l’origine e la sofferenza. “Il 98 per cento degli animali che allietano i nostri pasti provengono da allevamenti intensivi” spiega Melanie. “Capannoni senza finestre, ubicati in luoghi remoti e inaccessibili. Non ci sono mucche felici che pascolano nei prati o galline che gironzolano serene. Soltanto animali tenuti segregati in condizioni agghiaccianti, che nella loro breve vita provano ogni tipo di sofferenza”.
 
Ma come la mettiamo con i nostri amici a quattro zampe?
Eppure, le nostre vite sono allietate dalla presenza di animali, che molto spesso trattiamo come se fossero membri della famiglia a tutti gli effetti. “Gli animali ci importano, siamo connessi con loro”, racconta Melanie ricordando con commozione l’infanzia e l’adolescenza in compagnia dell’inseparabile Friz, un cane a cui era legata da un filo indissolubile. “Insegniamo ai nostri figli a essere gentili nei confronti degli animali, ne facciamo i protagonisti delle loro storie più belle, la vista di un cerbiatto in un bosco o di un delfino nel mare ci regala sensazioni dolcissime e di riverenza. E se sentiamo parlare di maltrattamenti nei confronti di un gattino o di un cagnolino veniamo scossi da moti di indignazione, lo consideriamo un oltraggio inaccettabile”. Ma la fettina di vitello nel piatto o il petto di tacchino alla griglia ci lasciano indifferenti. “Siamo in grado di accarezzare con una mano il nostro fedele cane e con l’altra stringere una coscia di pollo”, continua Melanie. “Quando si tratta di specie commestibili, è come se ci fosse un anello mancante nel nostro processo percettivo: non riusciamo a fare il collegamento tra la carne che mangiamo e la sua origine. Schemi mentali profondamente radicati dentro di noi ci indicano quali animali siano commestibili, preservandoci dal sentire un disagio emotivo o psicologico quando ce ne cibiamo. La sensazione che perdiamo più rapidamente è il disgusto del nostro gesto”.
Alla radice del carnismo
Esiste quindi un’ideologia che ci condiziona e che ci fa mangiare alcune specie di animali. “A questa ideologia violenta ho dato il nome di carnismo. È un’ideologia dominante, invisibile e profondamente insita nella società”, commenta Melanie. “Ed è profondamente in contrapposizione con gli ideali che ci caratterizzano: è contro la giustizia, contro i nostri sentimenti più reconditi. Il carnismo ci fa compiere azioni contrarie ai nostri valori, senza che ne siamo consapevoli”.
Le tre N della giustificazione
Ma insomma, quante storie – verrebbe da dire – la sopravvivenza dell’uomo dipende dal consumo di carne, è giusto che sia così!
In modo semplice e illuminante, Melanie Joy sgretola le nostre credenze. “Ci hanno insegnato fin da bambini che mangiare carne è normale, naturale e necessario. In realtà è l’esatto contrario: mangiare carne non è normale, non è naturale e ancor meno necessario.
Non è normale perché è il risultato di un’ideologia inculcata nel nostro cervello da millenni di storia. Le norme ci tengono in riga tracciando per noi sentieri da seguire, è la strada che prendiamo quando azioniamo il pilota automatico e non ci rendiamo conto che stiano seguendo una linea di azione che non abbiamo scelto consapevolmente. È forse normale rispettare la vita umana e non quella di una mucca?
Mangiare carne non è naturale, sebbene i libri ci insegnino che la caccia e il consumo di carne siano stati praticati costantemente e facciano parte del nostro Dna. Ma la storia dell’uomo è costellata di comportamenti abominevoli: assassinii, stupri, usurpazione, guerre: ci appelliamo forse alla storia di queste pratiche per renderle giustificabili e quindi naturali?
Credere nella necessità di mangiare carne fa apparire il sistema inevitabile: se non possiamo vivere senza carne, abolire il carnismo equivarrebbe a suicidarsi. Anche se sappiamo benissimo che è possibile sopravvivere senza carne, il sistema ci martella con questo mito, come se fosse vero e non modificabile. Il mito della necessità della carne per la nostra salute viene continuamente ribadito, pur se ormai esistono prove schiaccianti della sua infondatezza: il consumo di carne è ampiamente correlato con lo sviluppo e l’espansione di alcune delle principali malattie dei paesi occidentali”.
L’alternativa al carnismo esiste!
Se le parole di Melanie vi hanno in qualche modo toccato, la strada da percorrere si prospetta in discesa, ed è proprio la psicologa statunitense a indicarci il modo, sottolineando la sua passione per il nostro paese. “È ormai la mia quarta tappa in Italia, e ogni volta rimango sorpresa dall’affetto che mi circonda e dalla straordinaria crescita del movimento vegano”, sottolinea Melanie con gli occhi pieni di luce. “Ed è bellissimo constatare come, nella nazione che più al mondo celebra il cibo, il veganesimo stia prendendo piede. Non è una contraddizione: diventare vegani non vuol dire rinunciare al piacere della tavola, tutt’altro. Del resto già molti piatti della tradizione culinaria italiana hanno una forte impronta vegan, e sono davvero squisiti, raramente mangio cibi prelibati come quando sono in Italia!” E allora, come fare il grande passo? “Gradualmente, senza fretta”, conclude Melanie. “Iniziamo a ridurre il consumo di carne, uova, latte e arriverà il giorno in cui di questi alimenti potremo fare a meno. La nostra salute ne trarrà giovamento, il nostro cuore sarà più libero e tante vite non verranno sacrificate: saremo davvero i protagonisti del cambiamento”.
 
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