L’altra Medicina n. 92 Febbraio 2020

Editoriale: BRUTTO PERIODO, BRUTTE PERSONE

Tante cose stanno succedendo, belle e meno belle, in questo decennio che si è chiuso.

Vediamo di annotarle una per una e di valutare in quale misura possano avere impatto sulla nostra vita, sui nostri progetti, sulla nostra salute.

Cominciamo con il “Nutriscore

che è il nuovo punteggio nutrizionale di cui da anni si parla, volto a segnalare a coloro che acquistano del cibo se l’alimento in oggetto sia più o meno sano.

La lotta, naturalmente, è stata sui criteri di promozione o bocciatura dei prodotti: tali criteri dovevano essere stabiliti da un apposito comitato.

Avrebbe avuto senso che, all’interno del comitato che doveva fissare le regole, vi fossero solo e unicamente scienziati indipendenti.

Invece, come al solito, vi è stata l’usuale contaminazione: diversi dei “decisori” avevano gravi conflitti di interesse con aziende alimentari.

Questo ha fatto sì che i punteggi si muovessero soprattutto lungo la direttrice delle calorie piuttosto che verso la qualità dei nutrienti.

Con il risultato, terribile

che una bevanda gassata e dolcificata con un edulcorante artificiale (i cui drammatici effetti sull’ingrassamento stanno emergendo con prepotenza a livello scientifico anno dopo anno, e che solo utenti disinformati possono ancora pensare che “facciano dimagrire”) è valutata B (in una scala che va da A a F, con A considerato migliore di F), mentre l’olio extravergine di oliva biologico si trova in categoria E.

Lo stesso si può dire di pastoni industriali zeppi di carboidrati e di proteine di scarto, piuttosto che patatine fritte light, che ottengono valutazioni altissime, mentre formaggi italiani di alta qualità come parmigiano e pecorino (ovviamente densi da un punto di vista calorico) finiscono senza possibilità di errore tra i cibi da evitare in quanto troppo calorici.

Questa impostazione già alla fine del secolo scorso poteva dirsi obsoleta, alla luce dei nuovi studi sui segnali ipotalamici di ingrassamento o dimagrimento.

Ma tant’è: per questi signori che fanno del conflitto di interessi (e del guadagno alle spalle della salute altrui) la loro politica di vita, non esiste vergogna.

Pur di compiacere il loro datore di lavoro occulto, permettono che informazioni false e commercialmente interessate inficino il Nutriscore, che era invece un’idea intelligente che andava cavalcata con decisione per restituire dignità a prodotti di qualità, fatti con ingredienti di qualità in grado di prevenire l’epidemia di obesità e di patologie metaboliche che affligge oggi il nostro paese, in prima linea tra i disastrati paesi occidentali.

Perché solo pochi mesi fa l’Unicef ha classificato l’Italia come quarto paese al mondo per obesità infantile (tra l’altro con un gradiente a crescere andando da nord a sud).

Non ci vuole tanto a capire che la tanto decantata “dieta mediterranea” assume senso solo nel momento in cui siano definite con precisione quantità e qualità degli alimenti che la compongono (idealmente tanta frutta e verdura, pesce, uova, legumi, pochi latticini, pochi cereali).

Finché l’idea generale di dieta mediterranea è quella di una bella pastasciuttona (ovviamente di farina raffinata) al pomodoro, e del latte e biscotti a colazione, il quarto posto nella classifica dell’obesità infantile sarà del tutto appropriato.

Se poi come informazione nutrizionale useremo il Nutriscore, il passaggio al diabete per tutti e in tempi brevi sarà rapido e indolore.

Se gli insegnanti insegnano male…

Ma chi si occupa dell’informazione nutrizionale in Italia?

Perché se l’informazione sul cibo è così falsata e drogata da interessi commerciali tanto da consentire a uno dei massimi industriali del settore di dire impunemente (senza che alcun giornalista, esclusi i presenti, gli faccia notare che ha detto una gigantesca boiata) che l’aggiunta di zucchero di canna a un biscotto fatto di zucchero bianco, olio di palma e farina raffinata “viene incontro alle crescenti istanze salutistiche della nostra clientela”, vuol dire che qualcuno, negli anni, ha coperto, sviato, sottostimato le informazioni giuste.

Quelle che ci dicono che un cibo, per essere sano, dev’essere biologico, integrale, fresco, privo di additivi, privo di zuccheri aggiunti.

E se in questa prima parte del campionato di calcio sono stati licenziati gli allenatori del Milan, del Genoa, del Brescia, del Napoli, della Sampdoria e della Fiorentina, non sarebbe ora che qualcuno provvedesse a licenziare quelle figure “scientifiche” che negli ultimi decenni ci hanno portato a questo disastro?

Che il nostro bel paese, noto per avere una delle cucine più pregiate al mondo, debba diventare tristemente famoso per essere il quarto paese al mondo per obesità infantile grida vendetta. Vi prego: licenziate l’allenatore.

Fate sbagliare qualcun altro, che magari sbaglierà meno, o almeno senza conflitti di interesse.

Un tempo esisteva l’INRAN, Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione che era un istituto pubblico di ricerca alimentare, alle dipendenze del ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.

È stato soppresso con l’articolo n.12 del Decreto Legge n. 95 del 2012 volto a cancellare enti inutili o superflui.

Nel 2013, come riportato da Wikipedia, è diventato un Centro di ricerca del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA) e ha assunto la denominazione di Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione CRA-NUT.

Nel 2015 il Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione è confluito, assieme a tutto il CRA, nel nuovo ente costituitosi dall’unione del CRA con l’Istituto nazionale di economia agraria: il CREA.

Nel 2019, con grandi squilli di tromba, sono state annunciate dal CREA (gestito in buona parte dalle stesse persone del defunto INRAN) le “nuove linee guida nutrizionali” che vanno a sostituire le precedenti del 2003.

Mi sono preso la briga di leggerle e devo dire che in alcune parti hanno sicuramente recepito nuove informazioni scientifiche nel frattempo resesi disponibili, ma ancora, nella parte che tratta il consumo di zuccheri, dice che:

“L’aggiunta agli alimenti e bevande di zuccheri quali glucosio, fruttosio, saccarosio e di idrolizzati dell’amido, quale lo sciroppo di glucosio e, più recentemente, lo sciroppo ad alto contenuto di fruttosio (high fructose corn syrup = HFCS) conferisce al prodotto un gusto dolce che ne aumenta la gradevolezza e l’appetibilità e ne favorisce il consumo. L’aggiunta di quantità moderate di zuccheri agli alimenti non va demonizzata; infatti, il loro utilizzo in alimenti ricchi in nutrienti, per esempio latte, yogurt e cereali, migliora la qualità dell’alimentazione nei bambini e negli adolescenti (Johnson et al., 2002; Frary et al., 2004) e, nel caso del latte, non ha mostrato effetti indesiderati sul peso corporeo.”

Inoltre, sono difesi, in modo a mio giudizio non sufficientemente scientifico, gli edulcoranti artificiali, su cui oggi gravano accuse importanti di alterazione degli equilibri endocrini e della fame.

Poi nelle conclusioni si legge: “L’evidenza scientifica che lega un elevato consumo di zuccheri aggiunti, in particolare nel contesto delle bevande zuccherate, con il rischio di malattia è supportata da:

  • riscontro di un’associazione positiva e significativa per un consumo giornaliero di bevande osservata in tutti gli studi di tipo prospettico condotti su grandi coorti di popolazione;
  • specificità dell’associazione: le bevande zuccherate incrementano il rischio di malattie metaboliche ma non di carie;
  • gradiente dose risposta: all’aumentare del consumo aumenta il rischio;
  • plausibilità biologica: il consumo di bevande zuccherate incrementa l’apporto calorico;
  • risultati degli studi d’intervento sui biomarkers di rischio di diabete tipo 2 e malattie cardiovascolari. “

E allora, concludo io: perché scrivere che il consumo di zuccheri aggiunti “non va demonizzato” se tutti gli studi concordano nel dire che generano (pochi o tanti che siano) obesità, diabete, fame alterata, rischio cardiovascolare?

Se questa è l’informazione scientifica del Crea, e tale istituzione è pagata dalle nostre tasse per orientare i consumi degli italiani, perché non viene data questa notizia con squilli di tromba all’apertura di ogni telegiornale?

Lo sa, chi ha scritto quelle righe assolutorie nei confronti dello zucchero “da non demonizzare”, che stiamo parlando di migliaia di morti ogni anno e di milioni di diabetici che – scoperto in età sempre più giovane di essere malati – vengono nei nostri studi (non nei loro, evidentemente) con gli occhi spalancati esclamando: “Ma perché non ce lo ha detto nessuno?”.

Supponiamo la buona fede? Vi è allora evidentemente un’incapacità di giudizio nella valutazione del danno da consumo di zuccheri aggiunti, peraltro ampiamente citata nello studio.

Se dovessimo supporre la cattiva fede, o un grave conflitto di interessi, non basterebbero le frustate per far pagare il dovuto a questi signori.

In entrambi i casi ritengo giusto e sacrosanto che siano mandati a casa.

Ora. Prima che possano fare altri danni, invece di pontificare con arroganza, dalle loro pagine social, contro il biologico o contro la gluten sensitivity.

Quando queste persone, responsabili delle (scarse) conoscenze nutrizionali del nostro paese, avranno reso noti i loro contratti di consulenza con alcune delle maggiori aziende alimentari italiane, forse sarà a tutti più chiaro perché “lo zucchero non va demonizzato”.

Conflitti, conflitti, conflitti

I conflitti di interesse, tuttavia, sono presenti a ogni livello nel nostro paese e nessuno sembra farci caso.

Le ventilate tasse sullo zucchero e sulla plastica sono state dapprima ridotte a importi ridicoli e successivamente fatte slittare a luglio 2020 (plastica) e a ottobre 2020 (zucchero), nell’evidente speranza da parte delle rispettive lobbies che i nuovi governi che seguiranno siano più proni ai loro voleri.

Se è impossibile cancellare, almeno rimandiamo.

A tassare e a morire c’è sempre tempo. Ma l ‘esperienza non è nuova. Il governo Monti qualche anno fa era stato fatto cadere perché non passasse la tassa sullo zucchero, ma di questo s’era già parlato.

Quando si vuole tassare lo zucchero – opera che sarebbe sacrosanta almeno per risarcire in parte lo stato dei gravi costi sanitari generati dal diabete – spuntano qua e là voci inattese a difesa dell’industria.

Già l’ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin s’era espressa nientemeno contro la dichiarazione dell’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) che aveva dimezzato le quantità di zucchero quotidiane ammesse.

Dall’alto delle sue competenze medico-scientifiche aveva tuonato contro, sostenendo che era “una mossa per danneggiare l’industria italiana”.

Come se non esistesse un ministro dell’industria, per occuparsi di quel problema, ammesso esistesse.

Oggi le cose stanno anche peggio, con una opposizione alla tassazione addirittura bipartisan.

Da un lato Matteo Salvini che sventola un dolce della Ferrero a un comizio, rivendicando la libertà di farsi del male, dall’altro la neo-ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova che elenca il 10 dicembre in un suo post su Facebook che è contraria alla tassazione per ben sei motivi, tra cui un possibile aumento del prezzo delle bevande zuccherate fino al 40% (alleluia!) e 5000 posti di lavoro a rischio (il solito ricattuccio: o mi fai guadagnare vendendo acqua sporca e zucchero, o licenzio 5000 operai…).

Ma la chicca migliore è la seguente: la Bellanova sostiene (a suo illuminato giudizio) che la tassa sia inutile perché (udite udite) “dove è stata introdotta non ha ridotto i livelli di obesità”.

Dato del tutto scorretto: nei paesi dove la tassa è stata introdotta, il primo risultato è stato l’abbassarsi della percentuale di zucchero nelle bevande in commercio.

Chiedano a quelli del Crea i dati scientifici sugli effetti sull’obesità (seppur detti sottovoce) di tale iniziativa.

Tuttavia è bene capire che la lobby delle industrie dolciarie è talmente forte da disporre di “alfieri” (chiamiamoli così) in tutti gli schieramenti, rendendo davvero difficile una vittoria in tempi brevi.

Chi compra questa rivista, tuttavia, sappia che in questa battaglia, per la salute della gente, noi saremo sempre in prima linea.

E se da un lato certe difese dell’indifendibile sono bipartisan, dall’altra vi sono ministri che regalano apprezzamenti e amicizia a più di una lobby.

È il caso della già citata Teresa Bellanova che si è distinta, sempre in questo periodo, con sorprendenti dichiarazioni a favore dell’industria dei pesticidi, per noi molto poco tranquillizzanti.

Occorre sapere, infatti, che l’Unione Europea ha finalmente vietato in tutta Europa due fitofarmaci fosforganici particolarmente velenosi, il Chlorpirifos e il Chlorpirifos-metile, a causa delle numerose segnalazioni scientifiche relative a un loro coinvolgimento nell’insorgenza di leucemie infantili.

Tali veleni sono generosamente sparsi nei campi coltivati da quarant’anni (li ho studiati a fondo durante la mia prima laurea in Scienze Agrarie), ma tant’è: questo è il tempo medio europeo necessario a rendersi conto della pericolosità di un fitofarmaco, quando gli organi di controllo hanno a loro volta forti conflitti di interesse in essere.

Il divieto relativo a questi due veleni (che ogni agricoltore poteva spargere nei propri campi con un semplice corso di abilitazione serale) poteva e doveva essere di stimolo a irrigidire un po’ la regolamentazione sui pesticidi, di cui siamo (indovinate un po’) il maggior consumatore europeo per ettaro coltivato.

Indovinate, invece, cosa ha dichiarato il nostro ineffabile ministro? Ha detto: “Batteremo i pugni a Bruxelles perché venga data all’Italia una proroga di due-tre anni per utilizzare ancora questi prodotti”.

Forse portarla a fare un giro in qualche ospedale oncologico pediatrico potrebbe aiutarla a tenere la bocca chiusa?

Brutte persone…

D’altra parte, che vogliamo fare? Le lobbies quelle sono e quello fanno (non ho scritto “Il medico che scelse di morire” per niente): massimizzare il loro utile economico schiacciando ogni possibile opposizione e cancellando ogni provvedimento legislativo potenzialmente dannoso.

E in questo numero, tanto perché sia chiaro che non stiamo gettando benzina sul fuoco a caso, parleremo anche dello scandalo Novartis (leggerete l’inchiesta nelle pagine a seguire), in cui è venuto a galla in Grecia un inaspettato verminaio, con 32.000 medici greci a libro paga di quell’azienda.

Ora, mi pare evidente che questa non sia un’eccezione rara, un’azienda marcia in mezzo ad altre sane.

Sembra chiaro che si tratti di un metodo, peraltro dal grande ritorno economico, per vendere tanti farmaci inutili.

E mi sembra altrettanto evidente che non sia un fenomeno solo greco.

Lancio allora una proposta provocatoria: come nello sport un atleta che sia positivo al doping viene squalificato per due o quattro anni, e poi squalificato a vita se ripete l’errore, non si potrebbe applicare questo rigoroso criterio anche al campo farmaceutico?

In fondo i nostri governanti sono ancora a chiedere a gran voce la revoca della concessione autostradale ad Atlantia di Benetton a causa della caduta del ponte Morandi di Genova che ha provocato 43 morti.

Perché nessuno chiede la revoca delle autorizzazioni alla vendita di farmaci da parte di chi si è macchiato di falsificazioni di dati scientifici o di corruzione di medici o di organi di controllo?

In fondo non si tratta (con tutto il rispetto) di una manciata di morti come per il ponte di Genova.

Qui si parla di migliaia e migliaia di decessi per uso improprio di farmaci.

Il caso Vioxx negli USA, per esempio (un analgesico di cui la Merck ha coperto i dati di rischio cardiaco, e che per questo è stata condannata a un risarcimento miliardario) si stima abbia causato 160.000 decessi (Peter Goetzsche: “Medicine letali e crimine organizzato”).

E allora via: al primo scandalo due anni di squalifica, al secondo chiusa l’azienda per sempre.

E i lavoratori, dirà qualcuno? E l’indotto? Mi pare che quando la Juventus fu riconosciuta colpevole di truffa sportiva e retrocessa in serie C (poi commutata in B con penalizzazione) nessuno si pose il problema della perdita di incassi.

Se era giusto così, era giusto cosi.

E allora lo spazio lasciato libero da un’azienda truffaldina sarà riempito da altri più onesti.

Chi si dopa, chi truffa, chi ruba le partite sa che qualche volta la farà franca, ma sa anche che quando sarà scoperto pagherà per tutto e non potrà più giocare o trovare sponsor.
Perché questo non dovrebbe valere anche per le aziende?

Sulla salute delle persone non si scherza.

Abbiamo bisogno di persone belle. Di persone pulite. Di persone coraggiose.

Speriamo di trovarle presto ai vertici dello stato, nelle aziende, negli organi preposti al controllo.

Quelle che abbiamo descritto in queste pagine speriamo solo che tolgano il disturbo al più presto.

Dott. Luca Speciani

Il Direttore Luca Speciani