Scienza medica o altra medicina?

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Nelle zone d’ombra della Medicina sono molti i casi in cui si dimostrano utili e valide le tecniche complementari integrative, meno invasive, non tossiche, appropriate per agire sulle cause, per migliorare realmente la qualità della vita della gente e persino per evitare interventi avventati.

La nostra Scienza medica – in questi casi – parla ancora di effetto placebo (un effetto che noi stessi abbiamo sfruttato ampiamente) e sfugge continuamente al confronto adducendo varie giustificazioni: sono pochi i casi…, non ci sono prove…, non esistono strumenti o metodi idonei di studio…, le teorie non sono fondate… ecc.

Eppure altri Medici ottengono risultati evidenti, calcolabili e misurabili, per cui sarebbe un atteggiamento più onesto, scientifico e nell’interesse di tutti impegnarsi in una ricerca approfondita sul come e sul perché sono stati conseguiti. Ciascun professionista “complementare”, infatti, affronta patologie, problematiche disfunzionali e disagi psicofisici di ogni genere seguendo le proprie teorie, applicando le proprie tecniche e ottenendo i propri brillanti risultati. Tutto ciò è meraviglioso, perché viene subito da concludere che qualunque cosa si faccia per il Corpo – e per lo Spirito che lo anima – ottiene un risultato positivo, un beneficio che scaturisce dal tempo, dall’interesse e dall’amore profusi. Il nocciolo della questione però non è il raggiungimento di un beneficio, bensì l’auspicabile raggiungimento di tutto il beneficio possibile.

Tutti gli studiosi darebbero un esempio autorevole e meritorio allorché collaborassero per conseguire la meta di una Scienza medica super partes, finalmente appropriata, capace non solo di dare la risposta terapeutica di volta in volta più adeguata (in qualità e sicurezza, nei tempi e nei modi) alle reali necessità di ogni singolo individuo (poiché siamo tutti simili, ma nessuno è uguale), ma anche volonterosa di venire incontro al bisogno di benessere globale della gente, per molte ragioni deluso.

Manca ormai da molto tempo una visione unitaria del Paziente, una procedura unitaria e simultanea, una diagnosi unanime e un piano terapeutico logico, coerente e sinergico.

Affinché si ristabilisca il necessario rapporto di fiducia e una reciproca gratificazione tra i Pazienti e i Medici, è tempo che ogni individuo portatore di malanni Strutturali, Funzionali, o Mentali (soprattutto quelli che sfuggono alla consueta pratica accademica) torni a essere considerato sempre nella sua totalità, così che possa ritrovare il pieno equilibrio della propria salute.

Trovi l’articolo completo del dott. Lorenzo Paride Capello sul numero 106 de L’altra Medicina.