Quali effetti ha avuto la tecnologia sul nostro QI (quoziente intellettivo)?

Negli ultimi decenni il QI medio è diminuito rispetto a quello delle generazioni precedenti. Il fatto, confermato da più studi, è conosciuto come inversione dell’effetto Flynn, dal nome dello psicologo che aveva constatato, viceversa, un aumento del quoziente intellettivo medio nei decenni precedenti. Naturalmente non è semplice determinarne la causa. Tuttavia un ampio studio norvegese (Bra- tsberg & al, 2018) che ha analizzato i test di intelligenza somministrati durante la visita militare alle coorti dei nati tra il 1962 e il 1991, per un totale di 817.611 ragazzi, ha consentito di isolare e escludere i fattori intrafamiliari, concludendo che la causa è ambientale. In Norvegia, come ovunque nel mondo, la trasformazione più radicale nell’ambente di crescita dei ragazzi è stata la capillare diffusione della tecnologia informatica.

Tra i primi ricercatori dedicatosi ad approfondire seriamente la questione c’è lo psichiatra e neuroscienziato tedesco Manfred Spitzer autore del bestseller tradotto in italiano come “Demenza Digi- tale” (2012). Il titolo non si riferisce alle scarse competenze informatiche (pure diffuse, ma questo è un altro argomento) bensì alle conseguenze provocate da un eccessivo ricorso ai mezzi digitali (tele- visione, computer, consolle, tablet, smartphone) che producono un vero e proprio deterioramento delle capacità cognitive. Dall’altro versante del fiume Reno gli fa eco pochi anni dopo il neuro- scienziato francese Michel Desmurget, col suo lavoro tradotto in italiano col titolo “Il cretino digitale” (2019). Le due opere sommano complessivamente più di cento pagine di riferimenti bibliografici alla letteratura scientifica, non si tratta pertanto di stravaganti opinioni degli autori. 

Dal punto di vista anatomico il cervello non lo si può certo considerare un muscolo eppure, in modo analogo, le funzioni cerebrali non allenate, a cause dell’utilizzo delle tecnologie, non si sviluppano e quelle proprio non utilizzate si atrofizzano. Il meccanismo è noto come plasticità neurale.

Trovi l’articolo completo del dott. Benedetto Tangocci sul numero 126 de L’altra medicina.