Deficit di attenzione e perattività: possibilità preventive

Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD* dalle iniziali dei termini inglesi, Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder) ha spesso un esordio infantile. È descritto in successive edizioni dei Manuali Diagnostici e Statistici dei disordini mentali (DSM), ma senza marcatori biologici o test obiettivi che possano confermarla con certezza. Comporta difficoltà di attenzione e attività e/o impulsività ritenute eccessive, con problemi a scuola, a casa, sul lavoro. In Italia nel 2010 una ricerca ha rilevato l’ADHD nell’1,1% dei soggetti di 6-18 anni, ma stime Europee riportano percentuali maggiori. Nella media dei diversi ordini di scuola le certificazioni di alunni con “disturbi specifici dell’apprendimento” erano 0,7% nell’anno scolastico 2010/11 e 2,9% nel 2016/17 (dati MIUR). Bambini di famiglie con svantaggio socioeconomico pare abbiano probabilità doppie di ricevere diagnosi di ADHD.

Dunque, se i fattori di rischio di seguito indicati sono presenti, in generale è vantaggioso cercare di rimuoverli, anche senza prove definitive che siano tra le molte cause di ADHD.

Vediamo una panoramica su alcuni fattori di rischio associati all’ADHD, che possono causare anche altri problemi di salute e che si possono evitare o ridurre con appropriati interventi delle famiglie e/o della scuola.

BAMBINI PIÙ GIOVANI IN UNA CLASSE

Questi hanno più probabilità di diagnosi di ADHD. Molte ricerche riportano questo “effetto dell’età relativa”. Una recente rassegna sistematica ha incluso 14 ricerche in 11 paesi, che hanno esaminato l’associazione tra età relativa e diagnosi di ADHD. L’effetto si verifica perché le soglie di accesso alle classi scolastiche si basano sulla data di nascita, e ciò comporta la presenza in classe di bambini più giovani di altri, con differenze fino a 11 mesi. Questi bambini, soprattutto nei primi anni di scuola, possono avere uno sviluppo cognitivo inferiore rispetto alla media dei propri pari. Quasi tutte le ricerche considerate hanno trovato più diagnosi di ADHD nei bambini più giovani.

Di conseguenza il consiglio più saggio è quello di evitare, per quanto possibile, di “anticipare” l’ingresso a scuola dei bambini.

FUMO

L’associazione tra esposizione materna alla nicotina e l’ADHD nella prole era già stata rilevata in una coorte di nascita danese. Si nota una coerente associazione del fumo con l’ADHD e, nel caso di entrambi i genitori fumatori, il rischio di ADHD nella prole è più che doppio rispetto a quello di genitori non fumatori, anche se chi non fuma ha in genere caratteristiche di comportamento e socio-economiche più favorevoli, che potrebbero concorrere a spiegare il miglior risultato. L’associazione con ADHD è più forte con il fumo della madre. Studi dimostrano che se fuma solo la madre il rischio associato di ADHD è maggiore rispetto a quello in cui fuma solo il padre.

Sperimentazioni su varie specie animali hanno mostrato che l’esposizione in utero alla nicotina aumenta l’attività motoria, oltre a causare deterioramento cognitivo. Una recente ricerca finlandese supporta l’associazione tra nicotina e ADHD, con misurazioni obiettive nel sangue materno della cotinina, prodotto di degradazione della nicotina.

TEMPO TRASCORSO DAVANTI AGLI SCHERMI

Una ricerca canadese ha interrogato i genitori di 2400 bambini sul tempo trascorso davanti a schermi tra 3 e 5 anni e su problemi comportamentali come disattenzione e aggressività, difficoltà a dormire, depressione e ansia. Pochi bambini di cinque anni avevano questi problemi: solo l’1,2% aggressività o disattenzione e il 2,5% depressione e ansia. Tuttavia, rispetto a bambini che passavano davanti agli schermi meno di 30’ al giorno, quelli che vi passavano due o più ore avevano un rischio quasi otto volte maggiore di diagnosi di ADHD, con un effetto dose-risposta. Invece, bambini che partecipavano a due o più ore a settimana ad attività fisica organizzata avevano meno problemi di salute mentale. È la riprova che l’interazione con altre persone e i giochi reali sono importanti per lo sviluppo cognitivo e sociale.

PARACETAMOLO

Questo analgesico/antifebbre è usato in circa metà delle gravidanze, ed è stato associato a disturbi del neurosviluppo e ADHD. Una coorte di nascita spagnola ha reclutato oltre 2.600 coppie madre-bambino durante la gravidanza, valutando a uno e cinque anni i nati vivi esposti in utero al paracetamolo. Oltre il 40% delle madri ha riferito di aver usato paracetamolo, e la prole delle utilizzatrici ha mostrato un eccesso significativo (+41%) di incidenza di sintomi di iperattività/impulsività, che arrivavano a raddoppiare nei figli (di entrambi i sessi) di chi l’ha usato in modo persistente, suggerendo un effetto-dose.

I risultati non escludono un piccolo uso di paracetamolo per mitigare infiammazioni acute in gravidanza, ma suggeriscono di limitarlo molto, in particolare come antidolorifico, ricorrendo invece ad approcci come mindfulness o yoga, per tollerare lo stress, e a un modello alimentare mediterraneo a base vegetale, che aumenta la tolleranza al dolore oltre che per la salute in generale.

PESTICIDI

Ricerche sperimentali su animali e ricerche epidemiologiche supportano una relazione tra ADHD e/o autismo ed esposizione a pesticidi a basse dosi, che non arrivano alla tossicità acuta. Ciò può essere un motivo in più per preferire prodotti da agricoltura biologica, che importanti ricerche hanno associato a miglior salute umana, oltre a costituire un complessivo contributo alla sostenibilità e alla salute del pianeta.

ALCOL

Un’analisi combinata di nove ricerche associa l’abuso alcolico della gravida a un raddoppio di disordini di comportamento nella prole. Bambini con sindrome feto-alcolica (FAS) hanno un rischio 15 volte maggiore di ADHD.

PARTI CESAREI

Sono in aumento a livello globale, dal 6% delle nascite mondiali nel 1990 al 21% nel 2015. In Italia riguardano un parto su tre e riducono la mortalità materna e neonatale in caso di emorragie preparto, distress fetale, presentazioni fetali anomale, malattia ipertensiva. Ma senza indicazioni cliniche non sono benefici per la prole, e risultano associati con obesità, allergie, asma, diabete di tipo 1, leucemia linfoblastica acuta. Una recente rassegna sistematica con analisi combinata di 61 ricerche su 20,6 milioni di partecipanti ha mostrato un’associazione modica ma statisticamente significativa dei cesarei con ADHD (+17%) e disordini dello spettro autistico (+33%), e aumenti in tendenza per alcuni altri disturbi neuropsichiatrici.

ANEMIA

Serie e prolungate anemie da carenza di ferro nelle prime 30 settimane di gravidanza (non in seguito) si associano all’ADHD nella prole (+37%) e a più gravi problemi di neurosviluppo (27). In questo caso è importante lo screening precoce dell’anemia gravidica e un counseling correttivo.

Nessuna persona, che non sia uno specialista (per esempio, uno psicologo o un neuropsichiatra infantile), si deve sentire autorizzata a decidere se quel bambino presenta o meno un ADHD.

Trovi l’articolo completo del dott. Alberto Donzelli sul numero 118 de L’altra medicina.