La comunicazione medica: tra paura e onestà

Spesso la comunicazione medica appare simile a un “doppio legame”, termine coniato da Gregory Bateson per definire quella forma di comunicazione tra due individui che presenta un’incongruenza tra il livello verbale e quello non verbale. “Non c’è da preoccuparsi ma nel contempo approfondiamo la situazione, non sei malato ma prendi un farmaco”: quando un medico si rivolge così al paziente, da un lato il ragionamento medico non fa una grinza, dall’altro la sensazione che prova il paziente è di paura e smarrimento. Attraverso le parole, infatti, si afferma l’assenza di una malattia, ma la prescrizione di esami diagnostici e di farmaci afferma la presenza di un dubbio.

In queste comunicazioni paradossali di doppio legame è difficile sapere cosa fare. Nel duello tra ragione ed emozione, solitamente la vincitrice è l’emozione. Tra la razionalità e la paura, come ha chiaramente messo in evidenza Giorgio Nardone, vince la paura. L’emozione ci prende, ci rapisce e ci trasporta nel proprio mondo e lo fa in modo repentino, immediato. Così non è infrequente che il paziente inizi il pellegrinaggio sanitario, dal professore al luminare, con la speranza di trovare risposta al suo dubbio. In queste situazioni però difficilmente le risposte convergono e la preoccupazione aumenta. La verità è che più cerco certezza e rassicurazione, meno ne trovo, e rischio di entrare in un circolo vizioso che alimenta la paura e fapercepire sempre più come un disturbo limitante e invalidante quel che in origine poteva essere un fastidio. Si può perfino arrivare a condizioni di ossessione e panico rispetto al proprio stato di salute fisica.

A cosa servono dolore e paura

Il dolore e la paura sono per noi risorse fondamentali che ci permettono di proteggerci e di adattarci al mondo in cui viviamo. Quando sentiamo un dolore limitiamo la nostra attività per evitare di peggiorare la situazione, valutiamo come affrontarlo e quali aiuti cercare. Provare paura ci aiuta a porre maggiore attenzione ai pericoli e ad adottare quei comportamenti di difesa e protezione che possono salvarci. Queste emozioni ci hanno permesso di sopravvivere lungo la nostra storia e continuano a guidarci ancor oggi, a patto che non superino una soglia oltre la quale si trasformano in limite.

Nel lavoro psicoterapeutico, secondo l’approccio di Terapia Breve Strategica, proprio guardando in faccia la paura si arriva a superarla. La paura non deve essere né negata, né soffocata dalla ragione, come neppure alimentata dall’evitamento indiscriminato, dall’eccesso di precauzioni inutili e di ricerca di rassicurazione medica ove non necessaria, creando corto circuiti che peggiorano il problema. Generalizzare questi modi di affrontare il problema, significa aprire la porta alla paura patologica. Viceversa imparare a toccare i nostri fantasmi con un dito, ci fa capire che appena li tocchi questi svaniscono.

Tratto da un articolo dello psicologo e psicoterapeuta Carlo Eugenio Brambilla sul numero 95 de L’Altra Medicina (maggio 2020), acquistabile online e in edicola.