Il legame tra ansia e pressione alta – L’esperto risponde

All’ultima visita di idoneità sportiva per il triathlon sono passato per un pelo a causa della mia tendenza alla pressione alta. Eppure faccio sport con regolarità e mi pare di mangiare abbastanza sano. Sono tuttavia particolarmente ansioso. Mi agito per ogni impegno da rispettare, per ogni scadenza, per ogni contrarietà. Si immagini la preparazione di un triathlon, il giorno della gara! Mi chiedo: è possibile che la sola (seppur forte) tendenza ansiosa possa generare pressione alta?

Alessandro – Milano


Risponde il dottor Luca Speciani

Caro Alessandro,

la risposta è senz’altro affermativa. Se basta (nella cosiddetta sindrome da camice bianco) a farci schizzare in alto la pressione un po’ di agitazione, di ansia o semplicemente di apprensione, è evidente che negli ipertesi cronici questa attitudine può essere stata centrale nell’insorgenza della patologia stessa, magari associata ad altri fattori più strettamente materiali come il sale assunto con il cibo o altre cause di ritenzione idrica.

Un punto di grande importanza nella comprensione delle interazioni tra psiche e pressione è far capire ai più materialisti tra noi che il legame è stretto e fisiologicamente molto ben documentato. Oggi conosciamo con molta più precisione le dinamiche biochimiche in grado di generare rialzi pressori in relazione a stress psicofisici, ansia, paura. Conoscerle significa anche poterle dominare, non necessariamente solo con farmaci. I protagonisti si chiamano adrenalina, noradrenalina, cortisolo, prolattina, aldosterone, ormone antidiuretico, sodio, potassio, calcio e altri mediatori delle dinamiche vascolari e nervose.

Cosa succede quando ci sentiamo in “pericolo”

Quando un organismo è in pericolo (sia per un fatto molto concreto, come un cinghiale che ci sta caricando, sia per la semplice percezione di un pericolo potenziale come una strada poco illuminata, un rumore sospetto, un precipizio) deve rapidamente trasformarsi in “war mode” per fronteggiare efficacemente il pericolo stesso.

Essendo le risorse umane limitate, l’individuo in pericolo deve potenziare tutte le risposte organiche rivolte alla “lotta e fuga” (fight or flight), sottraendo tutte le possibili risorse alle funzioni in quel momento meno importanti. Dall’efficacia di questo spostamento nell’allocazione delle risorse dipende la sopravvivenza, e solo gli uomini che l’hanno meglio applicata sono riusciti a correre così veloce o a lottare con così tanta energia da portare a casa intatta la pellaccia.

In pratica si tratta di favorire tutto ciò che possa portare nel sangue nutrienti di immediato utilizzo che possano mettere le ali ai piedi o fornire forza ed energia ai nostri pugni o ai nostri calci, disincentivando invece le funzioni di lungo periodo (in quel momento superflue) come la detossificazione epatica o renale, l’attività del sistema immunitario, la crescita di ossa e muscoli, la cicatrizzazione delle ferite. Tali preziose funzioni saranno prontamente riattivate nel momento in cui l’emergenza sarà finita, ci auguriamo con la sopravvivenza dell’organismo minacciato.

Le reazioni a livello ormonale

A livello ormonale questo significa una forte secrezione di adrenalina e noradrenalina (ormoni in grado di esprimere i loro effetti in pochi istanti), e a una secrezione surrenale di cortisolo nei minuti subito successivi.

Gli effetti dell’adrenalina sono intensi e rapidi: si innalza il battito cardiaco, le arterie si contraggono per dare un’immediata vasocostrizione, aumenta la gittata cardiaca, aumentano la forza e l’ossigenazione muscolare, si alza la disponibilità di glucosio nel sangue. Poco dopo subentra il cortisolo, che provvede a mobilizzare tutte le possibili scorte (grassi, proteine muscolari, glicogeno) per riempire il sangue di nutrienti di pronto utilizzo, spegne il sistema immunitario (motivo per cui viene usato a palate, e spesso a sproposito, come cortisone, per tutte le patologie allergiche e autoimmuni), e genera ritenzione idrica in previsione di una possibile perdita di sangue dovuta al combattimento.
Tutto utilissimo quando il combattimento c’è (o quando fuggiamo a gambe levate). Meno utile, anzi molto dannoso, quando lo stressor è prevalentemente psicologico e non vi sia modo di rimuoverlo o di farlo cessare come nel caso del cinghiale.

I questi casi la permanenza delle funzioni degli ormoni citati può generare nel tempo danni molto maggiori rispetto alla ferita del cinghiale che vanno dall’infarto al diabete, dall’ipertensione al cancro. L’ipertensione in particolare è sostenuta da tutto ciò che aumenta la quantità di liquidi all’interno dell’organismo, dalla velocità e dalla forza con cui il sangue viene pompato dal cuore nelle arterie, dalla vasocostrizione: tutte funzioni che gli ormoni del “fight or flight” sostengono con vigore. La stessa funzione renale viene ad essere alterata in quanto alte quantità di cortisolo consentono a questo ormone di sostituirsi all’aldosterone generando forte ritenzione a livello dei tubuli renali. Sotto stimolo continuativo di questi ormoni ci troviamo dunque stabilmente ipertesi, gonfi d’acqua ed esposti alle malattie infettive, anche in assenza di qualunque pericolo reale, ma solo a causa del nostro atteggiamento ansioso o psicotico nei confronti del mondo esterno.

 

Se desiderate istaurare un filo diretto con il dottor Luca Speciani e fargli una domanda, potete scrivere all’indirizzo info@lucaspeciani.it