L’altra medicina n. 89 Settembre 2019

L'editoriale del Direttore Dott. Luca Speciani sulla lotta a iperglicemia e diabete

L'altra Medicina 89 settembre 2019

 

 

Editoriale: Iperglicemia e diabete: una tragica epidemia

Numeri agghiaccianti

Se i numeri rappresentano in qualche modo la realtà dei fatti sanitari, non vi è alcun dubbio sul fatto che l’attuale “epidemia” di diabete sia una delle emergenze primarie del nostro tempo.

I dati ISTAT parlano chiaro, e si commentano da soli.

Nel 2016 oltre tre milioni e duecentomila persone, in Italia, dichiarano di essere affette da diabete: il 5,3% dell’intera popolazione, che diventa un drammatico 16,5% fra le persone di 65 anni e oltre.

A questi andrebbero aggiunti tutti coloro che, senza rendersene conto, sono resistenti insulinici gravi alle soglie del diabete, senza rendersene conto. Un numero che si stima pari a quello dei diabetici già diagnosticati.

Non è sempre stato così, però. La diffusione del diabete è quasi raddoppiata in trent’anni (coinvolgeva solo il 2,9% della popolazione nel 1980) e anche rispetto al 2000 i diabetici sono un milione in più.

Una vera epidemia a fronte della quale le preoccupazioni ministeriali verso alcune patologie infettive impallidiscono.

Una malattia da vecchi?

Quando ero un ragazzino la parola diabete evocava in me l’idea di una “disabilità”, di una condanna inequivocabile con la quale alcuni poveri ragazzi sfortunati dovevano fare i conti.

Il compagno di classe diabetico (di tipo 1) doveva stare attento a diversi cibi (non mi era chiarissimo quali) che potevano per lui essere pericolosi, e senza quel controllo poteva rischiare convulsioni, coma, morte.

Si trattava però, nella mia testa, di una condanna del fato. Uno scherzo del destino contro cui nulla era possibile fare.

Il diabetico adulto, raro, era meno visibile e le cautele verso lo zucchero di qualche nonna potevano essere facilmente confuse con semplici attenzioni alimentari.

Perché il diabete adulto (diabete di tipo 2) è una malattia a lento sviluppo: lento è l’instaurarsi di una progressiva inefficienza dell’insulina, lento è il crescere graduale dei livelli di zucchero nel sangue (glicemia), lento è il verificarsi delle gravi e gravissime complicanze legate proprio al danno cellulare e vascolare delle proteine glicate su vasi e tessuti (micro e macro vasculopatie, neuropatie, degenerazioni retiniche, cecità, amputazioni, infarti).

Ma se c’è (c’era!) tutta questa lentezza nell’aggravamento clinico, perché oggi assistiamo impotenti a un incremento esponenziale del numero dei diabetici adulti, e soprattutto a un’accelerazione del processo tale che dalla “nonnina golosa” il problema si è spostato ai manager rampanti quaranta-cinquantenni?

Malattia dei poveri e degli incolti?

Dove sono e cosa fanno, per il diabete, quei parlamentari che tuonano a giorni alterni contro le prossime sicure stragi di varicella e di rosolia? Quando la finiremo di coprirci di ridicolo in cambio di umilianti contropartite economiche?

Il problema evidentemente ha radici diverse, una delle quali è l’elevatissimo costo sanitario (che grava su noi tutti) del malato di diabete e delle sue gravi comorbilità (cardiovascolari, neurologiche, ortopediche, oculistiche).

Il diabete, per esempio, è una patologia fortemente associata allo svantaggio socioeconomico.

Le donne diabetiche di 65-74 anni con laurea o diploma sono il 6,8%, le coetanee con al massimo la licenza media il 13,8%.

Le donne con titolo di studio basso hanno poi un rischio di morte 2,3 volte più elevato delle laureate.

Come giustificare questa enorme differenza? Perché una persona culturalmente più dotata riesce meglio a sfuggire al diabete? più informazione sui danni da zucchero per prevenire morti e malattia? Questo è un altro piano su cui muoversi.

Un mediterraneo diabetico

Questa patologia è inoltre più diffusa nelle regioni del Mezzogiorno dove il tasso di prevalenza standardizzato per età è pari al 5,8% contro il 4% del Nord.

Anche per la mortalità il Mezzogiorno presenta livelli sensibilmente più elevati per entrambi i sessi.

E ancora stiamo a parlare come top standard di una non meglio definita “dieta mediterranea” in cui i carboidrati raffinati vengono indicati come base nutrizionale dell’individuo?

Obesità e sedentarietà sono poi rilevanti fattori di rischio per la patologia diabetica. Tra i 45-64enni la percentuale di persone obese che soffrono di diabete è al 28,9% per gli uomini e al 32,8% per le donne.

Nella stessa classe di età il 47,5% degli uomini e il 64,2% delle donne con diabete non praticano alcuna attività fisica.

Sono numeri che parlano da soli. L’attività fisica regolare è il più potente farmaco antidiabete oggi conosciuto.

Favorirla anche nelle fasce meno abbienti potrebbe prevenire molte morti precoci e ridurre in modo rilevante i costi sanitari del nostro paese.

Che sia questo il motivo per cui vi è una totale inerzia nel combattere questa piaga con metodi non farmacologici?

Ricatti occulti

Con questi dati non è difficile capire che i costi sanitari per la cura di questi pazienti sono in crescita esponenziale, e naturalmente (ticket a parte) a totale carico del servizio sanitario nazionale.

Perché si fa poco o nulla per combattere questa disastrosa patologia i cui effetti, economici e sulla salute, graveranno in modo insostenibile sulle spalle dei nostri figli?

La risposta è complessa, ma proveremo qui a suggerire chiavi di lettura della realtà un po’ diverse da quelle che quotidianamente ci vengono ammannite da media pusillanimi quando non asserviti ai diktat dell’industria dolciaria, da me minuziosamente descritti nel romanzo “Il medico che scelse di morire”.

Fino a che non passerà un deciso segnale culturale che descriva i danni da zucchero e li faccia conoscere almeno quanto sono conosciuti quelli da fumo, da alcol e da altre droghe, sarà difficile impostare iniziative di ribellione contro questo sistema.

Perché le aziende di settore (che lucrano sulla vendita di cibi spazzatura le cui materie prime – zucchero e farine raffinate – costano pochissimo e si conservano a oltranza) non sono spettatrici passive: interferiscono purtroppo pesantemente sia a livello legislativo (attraverso lobbies parlamentari), sia a livello di influenza mediatica, esercitando il cosiddetto “ricatto pubblicitario”.

Quell’influenza occulta che fa sì che TV giornali e riviste non osino mai parlare male di zucchero e affini se non vogliono che le aziende smettano di fare pubblicità sulle loro testate.

Censure interessate

Come medici di segnale abbiamo per esempio dovuto subire una grave chiusura mediatica in riferimento al nostro cosiddetto “modulo Salvasalute” che intendeva ripristinare la legalità in tutte quelle situazioni in cui distributori automatici di junk food venivano installati nelle scuole, nei centri sportivi, nelle stazioni, in palese violazione delle leggi esistenti.

Noi abbiamo elaborato un modulo di pre-denuncia “gentile” per far rimuovere questi distributori illegali, scaricabile da chiunque dal nostro sito.

Dal 1992 esiste infatti una legge che vieta espressamente la presenza di questi erogatori di junk food in ogni luogo pubblico ove vi sia possibile passaggio di minori.

Non era forse una bomba mediatica? Quale credete sia stata la risposta dei tanti canali editoriali a cui ci siamo rivolti? Un buon giornalista non dovrebbe cogliere la palla al balzo e farne uno scoop? O addirittura essere invogliato a fare giornalismo investigativo (chi ha tenuto nascosta una legge per 27 anni? Qualcuno è stato pagato per questo?). Invece, il nulla.

Solo una o due testate, a noi amiche, hanno dedicato un trafiletto. Silenzio greve per tutti gli altri. Poi i giornalisti si indignano quando qualche politico dice che sono asserviti ai poteri forti. In Italia ho la sensazione che sia peggio che altrove.

Una semplice verità

Cosa fare, dunque, come medici e come cittadini, per muovere passi decisi nella direzione in cui pare nessuno voglia andare?

Le vie maestre per prevenire l’insorgenza del diabete che – ricordiamolo – nella sua versione adulta è e resta una malattia a lenta insorgenza, sono in estrema sintesi:

  • Un’adeguata attività fisica
  • Una riduzione dell’assunzione di zucchero e di carboidrati raffinati.

Sic et simpliciter. Perché la verità, che viene accuratamente celata al grande pubblico, è che iperglicemia e diabete sono malattie del tutto reversibili, se affrontate prima di diventare insulina-dipendenti.

I farmaci servono a poco o nulla se il paziente non incomincia a muoversi quotidianamente e non inizia a praticare con costanza una dieta priva di zuccheri aggiunti e di farine raffinate.

Perché invece dobbiamo assistere impotenti all’operato quotidiano di colleghi che, totalmente impreparati sul valore di dieta e movimento da un sistema scolastico asservito, dicono al paziente: “Stia sicuro: con i farmaci potremo rallentare la progressione della sua malattia, ma indietro non può più tornare…”?

A chi giova annebbiare le coscienze degli operatori a tal punto da impedire loro di vedere i miglioramenti rapidissimi che il paziente riscontra non appena inizi a seguire una dieta davvero antidiabetica abbinata ad un regolare movimento?

Quell’innocua tazzina

Muoversi contribuisce a svuotare periodicamente le scorte di glicogeno delle nostre cellule muscolari, che restano così “sensibili” (è una buona cosa) al trasporto dei nutrienti da parte dell’insulina.

Se però facciamo movimento, ma assumiamo grandi quantità di zuccheri, il problema persiste. Se poi non facciamo nemmeno movimento, saremo presto nei guai.

Ma quanto è “tanto zucchero”? Siamo sicuri di saperlo davvero, o sottostimiamo ogni giorno il problema? Facciamo due calcoli.

E che sarà mai un caffè a metà mattina?

Un liquido caldo contenente 6-7 g di zucchero bianco (una bustina) assunto a digiuno e a riposo, può essere assimilato nel duodeno – attraverso la via gastrica breve – nel giro di pochi minuti.

Ciò significa che il nostro sangue è rapidamente invaso da una quantità pari a circa tre volte il glucosio presente nel nostro sangue.

Per chi non lo sapesse infatti ciascuno di noi dispone di circa cinque litri di sangue, in cui nuotano (posta una glicemia di 100 mg/dl e una frazione di globuli rossi del 50%) circa 2,5 g di glucosio.

Un’impennata glicemica di questa entità genera ingrassamento, infiammazione, allentamento della barriera ematoencefalica, ma soprattutto un lento e progressivo esaurimento della capacità del pancreas di secernere insulina, con una lenta e graduale progressione verso il diabete.

Produttori di diabete

Abbiamo fatto l’esempio della tazzina di caffè, ma potremmo sbizzarrirci con una qualsiasi bevanda zuccherata, il cui mezzo litro (spesso consumato a tavola dai nostri ragazzi) può contenere anche 40-50 g di zucchero raffinato.

Non c’è da stupirsi, dunque, che il fenomeno diabete sia così rapidamente in crescita, e ad età sempre più basse.

Carichi glicemici analoghi possono essere provocati da piattoni di pasta o riso raffinati, da pane bianco, fette biscottate, cereali da colazione, creme spalmabili, cioccolati ordinari, polveri al cacao, focacce, brioches, biscotti, dolciumi, caramelle, chewing-gum, marmellate, gelati e succhi dolcificati di ogni genere e tipo.

Purtroppo non esiste ancora una cultura diffusa che illustri i pericoli di un consumo smodato di zucchero all’interno della nostra alimentazione.

Controcorrente

L’OMS (l’organizzazione mondiale della sanità) si è già espressa in passato con una raccomandazione per ridurre al massimo al 5% il contributo degli zuccheri aggiunti nell’alimentazione quotidiana (una raccomandazione che una nostra ministra della salute, solo pochi anni fa, si è permessa di criticare apertamente, non avesse avuto altro di meglio da fare, sostenendo – udite udite – che tale raccomandazione “avrebbe danneggiato l’industria dolciaria italiana”).

Ma i lavori scientifici degli ultimi trent’anni parlano chiaro: la quota di zuccheri aggiunti compatibile con una piena salute non è né il 10 né il 5% delle calorie assunte.

Tale quota dovrebbe essere zero.

Come mai questa informazione fa così fatica a passare?

Perché in molti centri ospedalieri di diabetologia il medico passa il paziente alla dietista, e lascia che costei elabori una dieta che prevede biscotti a colazione e riso bianco a pranzo?

Perché il diabete resta un affare miliardario per l’industria del farmaco, e il mercato dolciario genera utili mostruosi, e fatturati pubblicitari immensi.

Chi può permettersi di andare a rompere le uova nel paniere?

Noi medici di segnale lo stiamo facendo e continueremo a farlo, per difendere la serietà e l’eticità del nostro lavoro insieme con la salute di chi si rivolge a noi.

Perché i direttori marketing e vendite dei produttori di farmaci antidiabetici, e le multinazionali dolciarie potranno anche battersi il cinque, dietro le quinte, per i traguardi economici raggiunti, ma il paziente obeso, infartuato, iperteso, demente, amputato e cieco, di quel “cinque” non sa cosa farsene.

A noi, ogni giorno, l’arduo compito di informare contro corrente, e di lottare contro ogni colpevole inerzia o sottovalutazione del problema, per una nuova medicina.

Dott. Luca Speciani

Il Direttore Luca Speciani